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La possibilità di modificare legittimamente l’indicatore di genere, o iter legale, in Svezia è stato disponibile fin dal 1972, quando è diventato il primo paese al mondo a consentire alle persone transgender di correggere legalmente il proprio sesso.

Ma questo era consentito solo se venivano soddisfati diversi criteri: doveva essere un cittadino svedese con più di 18 anni, non sposato (avendo divorziato se necessario) ed aver vissuto per almeno due anni come se avesse il sesso opposto.
La legge è stata riesaminata nel 2007 proponendo l’eliminazione dei requisiti di cittadinanza e di celibato/nubilato. Nel 2013 la “ sterilizzazione obbligatoria” prima di poter legalmente correggere il sesso è stata revocata e non è più parte della legge; lo era fin dal 1972 e si pensa sia stata utilizzata almeno su 500 persone trans gender .
Poi l’evoluzione del febbraio del 2015 (anno che ha visto diverse svolte in svariati ordinamenti) in cui il governo ha introdotto due emendamenti; il primo che consente il cambiamento di genere giuridico senza alcuna forma di valutazione psichiatrica o psicologica, nonché la necessità di una diagnosi o qualsiasi tipo di intervento medico; l’altro che consente la chirurgia di riassegnazione del sesso se la persona che ne fa richiesta presenta un parere positivo da parte di uno psichiatra.
Alla luce dei predetti emendamenti, nel marzo del 2017 il governo Svedese ha annunciato che risarcirà almeno 800 persone transessuali che sono state costrette a subire una chirurgia di riassegnazione sessuale al fine di poter acquisire legalmente il proprio genere sessuale di appartenenza, condizioni queste che dapprima e fino a pochi anni fa non potevano dunque essere richieste e ottenute indipendentemente l’una dall’altra.
Da ciò consegue che in Svezia dal 2015 il cambiamento di genere e la vera e propria rassegnazione sessuale chirurgica possono ben essere richieste autonomamente l’una dall’altra.
A sua volta il sistema di Malta vede sempre dal 2015 la possibilità di cambiare genere (dal maschile al femminile o dal femminile al maschile) con una semplice autodichiarazione, ovvero senza diagnosi, perizie, terapie farmacologiche o interventi chirurgici. Tra le nazioni in cui il self-id è in vigore Malta è quella geograficamente e culturalmente più vicina all’Italia ma sappiamo che l’evoluzione sul tema che c’è stata all’interno dell’ordinamento dell’isola differisce dal nostro sistema Italiano per l’assenza della self – id.
La persona maggiorenne infatti può mutare il genere mediante semplice dichiarazione in atto notarile, senza necessità di alcun intervento chirurgico (cd autodeterminazione).
Il minorenne, invece, può cambiare genere su richiesta dei genitori o del tutore e altresì con l’autorizzazione del Tribunale.
Inoltre, in particolari situazioni, è concessa la possibilità di non assegnare il genere alla nascita, indicando così al nuovo nato una casella ‘’bianca’’, che i genitori (o il tutore) entro il 14mo anno di età, dovranno attivarsi per riempirla con il sesso dichiarato.
Inoltre, la variazione del genere non comporta conseguenza alcuna sullo stato coniugale o di genitore ( come invece avviene all’interno dello stato italiano dove il vincolo matrimoniale si scioglie divenendo unione civile ) e di ogni altro diritto.
Ulteriore aspetto evolutivo vigente all’interno dell’isola (che la rende dunque ulteriormente più evoluta rispetto ad altri paesi) è che il cambiamento di genere può avvenire anche verso un genere ‘’indeterminato’’e le (ulteriori eventuali) variazioni del cambiamento di genere devono essere approvate dall’autorità giudiziaria; la legge maltese infatti comprende la identificazione di un terzo ‘’gender’’ come il “nessun gender’’ o genere X; inoltre, è d’obbligo menzionare che la stessa legge accenna al caso di assegnazione non già di un genere ‘’zero’’ ma di un genere ‘’altro’’ (come riconosciuto in molte culture non binarie); da un punto di vista strettamente sociale, accanto ai casi di assenza di caratteristiche di un genere, vi sono i casi di compresenza delle caratteristiche dei due generi o bigenderismo, cui propriamente si riferiscono le numerose figure delle culture extraeuropee e, infine, i casi di trigenderismo o fluidità di genere, caratterizzati dalla variazione del genere nel tempo, da maschile a femminile a misto.
Da ultimo, è stata introdotta l’importante novità inerente le spese per le operazioni di affermazione di genere, non più a carico del privato ma prese a carico dello Stato.
I due schemi sopra descritti (Svezia e Malta) rappresentano l’esempio dei sistemi più evoluti nella materia dell’identità di genere; in diversi paesi europei – per la maggior parte dell’Europa orientale – tra i requisiti che le persone trans gender devono soddisfare per legge per poter cambiare l’indicazione del genere sui propri documenti c’è essersi sottoposti a un’operazione chirurgica.
Da anni gli attivisti della comunità LGBT si oppongono a questo requisito, che non tiene conto del fatto che molte persone trans non vogliono essere operate (per i rischi connessi all’operazione, per poter avere figli, per altre ragioni personali) pur volendo essere riconosciute come appartenenti al genere in cui si identificano.
Anche in Italia le cose sono migliorate dal 2015: la Corte Costituzionale ha stabilito che per il cambio di genere all’anagrafe non è necessario alcun trattamento chirurgico. La legge italiana che contiene norme in materia di “rettificazione di attribuzione di sesso”, la Legge 164 del 1982, non contiene né ha mai contenuto la parola “sterilizzazione”, ma di fatto chiedendo l’obbligatorietà di un’operazione chirurgica implicava anche l’obbligo di sterilizzazione. La situazione era simile anche in Austria fino al 2009 e in Germania fino al 2011. In altri paesi la sterilizzazione era esplicitamente richiesta come condizione, in Norvegia fino al 2014 e in Svezia fino al 2013: in quest’ultimo caso, spiega l’Economist, era un residuo dell’influenza di vecchie leggi sull’eugenetica, secondo cui una persona con problemi psichiatrici – come un tempo erano considerate le persone transgender – non era in grado di occuparsi di un bambino.
A differenza dei sistemi sopra evidenziati, l’Italia vede sempre e comunque il preventivo intervento e autorizzazione del Tribunale territorialmente competente, nel cui giudizio è possibile chiedere l’autorizzazione per l’intervento chirurgico di riattribuzione di sesso e la rettificazione del nome e del genere anagrafico oppure è possibile domandare solamente il cambio dei documenti anagrafici.
Questa seconda opzione è divenuta appunto possibile a seguito delle due importanti sentenze (della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale) che hanno stabilito che per la riassegnazione del nome e del genere anagrafico non è necessario o obbligatorio l’intervento chirurgico di riattribuzione di sesso.
Questo perchè la legge 164 dice espressamente “quando” e “solo se” è necessario il Giudice dispone l’autorizzazione all’intervento chirurgico. Ciò significa che, se la persona ha raggiunto il proprio benessere psico-fisico e dimostra la propria immedesimazione nel genere percepito e vissuto come “irreversibile” non è obbligatorio che effettui tutti gli interventi chirurgici e può ottenere il cambio del nome e del genere anagrafico anche se non si è operata o decide di non operarsi.
Il procedimento giudiziario si può concludere con l’autorizzazione all’intervento chirurgico e alla rettifica del genere anagrafico e del nome, l’autorizzazione all’intervento chirurgico e l’indicazione che l’autorizzazione alla rettifica del genere anagrafico e del nome avverrà solo dopo che la persona avrà eseguito l’intervento chirurgico, l’autorizzazione alla rettifica del genere anagrafico e del nome. In sostanza, l’esito del procedimento dipende dal tipo di domanda presentata. Nel caso in cui si richieda la contemporanea autorizzazione all’intervento chirurgico e alla rettifica del genere anagrafico e del nome, la conseguente sentenza potrebbe autorizzarle entrambe. Nel caso in cui sia richiesta la sola rettifica del genere anagrafico e del nome, la sentenza potrebbe autorizzare il cambio dei documenti e non altro.
Pertanto, ulteriore differenza rispetto ai sistemi evidenziati, è che la domanda al Tribunale , necessaria negli altri sistemi solo nel caso di minori di età, risiede nella relativa allegazione di documentazione specifica che comprovi la disforia di genere della persona, nonché la irreversibile immedesimazione nel genere percepito e la “eventuale” trasformazione corporea avvenuta. Tale documentazione sarà dunque psico-diagnostica e medica attesterà il percorso di affermazione di genere, la volontà irreversibile di rettificare il proprio genere anagrafico, la immedesimazione definitiva e irreversibile nel genere vissuto e percepito come il proprio ed eventualmente la volontà di sottoporsi ad intervento chirurgico di riassegnazione del sesso.
Seppur regolate in maniera non univoca all’interno dei vari paesi Europei, la materia l’affermazione di genere è nel suo insieme un diritto della personalità la cui tutela è sempre in maggiore crescita e sensibilizzazione nonché oggetto di evoluzione normativa e giurisprudenziale che tiene sempre in maggiore considerazione tutti gli aspetti e le esigenze concrete da realizzare, quali espressione del diritto all’identità.
I passi sino ad ora compiuti fanno dunque ben auspicare ad un prossimo futuro che si affacci sempre più sulle specifiche tematiche ancora non regolamentate all’interno del nostro ordinamento e che rappresentano ulteriori espressioni del diritto all’identità.

Avvocato Emanuela Barba
Esercente in Pescara
Specializzata nelle procedure legali di transizione/affermazione di genere